La prima volta che ascoltai “Bella ciao” avevo
otto anni.
Correva l’annuale ricorrenza del 25 aprile e l’Amministrazione
Comunale della mia piccola città, assieme all’ANPI, organizzava la
commemorazione della Festa della Liberazione.
La messa alle 09.00, mai vista, e poi il corteo
per le vie della città nei punti dove si celebravano, e si celebrano ancora, le
forze combattenti, la targa col proclama
di Diaz del 4 novembre, il luogo di un eccidio fascista a mano delle brigate
Muti; la banda municipale in testa a suonare temi della resistenza e, appunto, “Bella
ciao”.
Mi ci portava mio padre, io, però, sapevo già
tutto della resistenza, in casa si mangiava pane e politica e, in onore alla
questione morale fui buon ultimo tra i compagni di classe, ad avere il TV a
colori; perdio siamo famiglia operaia !!!
C’erano tutti i compagni della sezione cittadina
del P.C.I., qualche sparuto rappresentante della D.C. e qualche buon borghese
cittadino, rispettoso della storia del suo Paese.
La “delegazione” comunista era la più numerosa,
io ne facevo, orgoglisamente parte; mi veniva assegnata la bandiera multicolore
della pace.
Partecipavo al corteo fiero come l’avessi vinta io
la guerra di Liberazione, avanzavo dritto, dritto, sotto gli occhi degli altri
cittadini e, assieme ai compagni comunisti, cantavo, avendola imparata in un
attimo, “Bella ciao”; a squarciagola.
Ancora oggi, tutto sommato, mi emoziona, anche in
virtù di quei ricordi da bambino.
Proprio di recente, grazie e purtroppo, il brano
è tornato agli onori di cronache e commenti.
Prima la morte di Don Gallo, poi Franca Rame.
Social Network, televisioni e carta stampata col “prete
di frontiera” in sciarpa rossa e “Bella ciao” cantata stolidamente nonostante l’età
avanzata.
Poi la signora Rame che, per il suo ultimo
viaggio, chiede donne in rosso e “Bella ciao”.
Non nascondo che l’associazione Don Gallo e “Bella
ciao” e tutto il significato “di parte” sotteso, soprattutto in molti commenti
di amici sui social network, mi abbiano disturbato.
Non sono un mangiapreti, ateo e agnostico;
soprattutto non sono un comunista deluso e rabbioso di un tempo che fù e che
non c’è più.
Però un prete è un prete, capisco che l’appartenza,
la scelta, soprattutto vocata, non è obbligata ma, appunto, figlia di una
vocazione che, naturalmente, porta a dedizione.
Dedizione verso una fede, Fede che, di certo, non
esclude, nel suo originale spirito, il comunismo, come filosofia, come ideale,
come ricerca di uguaglianza e lotta alle differenze sociali.
Anzi, sono maggiori i punti di contatto, rispetto
alle divergenze.
Mi ha disturbato, soprattutto sui social network
(generalmente popolati dai più giovani), l’appropiarsi di una figura, quella
del prete, quasi a giustificare la propria di appartenenza.
Ci ho visto la debolezza di una sinistra, direi
oggi alquanto massimalista, la voglia di giustificarsi.
Se un prete canta “Bella ciao”, se un prete ha la
sciarpa rossa, se un prete è contro la propria stessa gerarchia, sono a posto
anche io, e giù deciso “vado contro” col marchio registrato.
Trovo, mi si vorrà perdonare l’analisi “stretta e
corta”, la genesi della deriva grillina.
Il No-Tav senza sapere dov’è la TAV, la “vergogna”
di essere a sinistra senza doversi trovare giustificazioni o giustificatori.
Diverso il discorso per la signora Rame, non amo
le celebrazioni post-mortem, per carattere un po ostinato, ma, quantomeno, non
ci vedo la forzatura.
Cantiamola Bella ciao, cantiamola il 25 aprile, a
Natale, Pasqua e in un giorno come in un altro.
Siamo a sinistra ?
Bene, siamo capaci di dire di no ma anche di si;
non abbiam bisogno di sponsor e, a volte, neanche di slogan.
Abbiamo camminato tanto e ancora tanto dovremo
camminare.
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